Sant’Ignazio di Antiochia, vescovo e martire

Ricorre per noi oggi la solennità di Sant’Ignazio di Antiochia, titolare della chiesa dell’Olivella: il santo al quale i padri filippini di Palermo hanno dedicato il tempio del Signore. Dalla data del 1° febbraio, il nuovo calendario liturgico ha riportato ad oggi – data tradizionale del suo martirio – la memoria di Sant’Ignazio Martire, prescrivendola come obbligatoria per tutta la Chiesa universale. 

Ricordiamo tutti per averlo più volte sentito dire, come cadde la scelta su di lui. Per una scelta così difficile era impossibile riuscire a mettere d’accordo tutti i padri, ciascuno aveva le sue preferenze e adeguate ragioni per ogni proposta. Si esperì allora l’estrazione a sorte del nome del santo cui dedicare la chiesa. Fu estratto da subito un nome davvero poco noto: un padre della Chiesa, appartenente al gruppo dei padri apostolici del I secolo; quelli che conobbero personalmente gli Apostoli ricevendo di prima mano il loro insegnamento. Il nome di questo santo però non convinse i padri filippini, poiché una figura non popolare e comunemente sconosciuta. Tentarono una seconda estrazione e la sorte cadde nuovamente su Sant’Ignazio vescovo di Antiochia. Ancora restii ad accettare tale figura, fecero una terza estrazione, dovendosi persuadere che tale fosse la volontà di Dio per la chiesa dell’Olivella.

Un santo non popolare tra la gente, senza nessun culto, al quale non si correva in massa per chiedere grazie e miracoli. E quindi una persona che non ha niente da dirci? Vale la pena ricordarla? Quando parliamo dei santi non parliamo di figure mitologiche che si perdono nella notte dei tempi, bensì parliamo di cristiani che ci hanno preceduto nel segno della fede e dormono il sonno della pace; persone che stanno oggi alla presenza del Signore nella Terra dei viventi e che prima hanno vissuto la loro esistenza in questo pellegrinaggio terreno, raggiungendo la perfezione nella vita cristiana.

Martirologio Romano: Memoria di sant’Ignazio, vescovo e martire, che, discepolo di san Giovanni Apostolo, resse per secondo dopo san Pietro la Chiesa di Antiochia. Condannato alle fiere sotto l’imperatore Traiano, fu portato a Roma e qui coronato da un glorioso martirio: durante il viaggio, mentre sperimentava la ferocia delle guardie, simile a quella dei leopardi, scrisse sette lettere a Chiese diverse, nelle quali esortava i fratelli a servire Dio in comunione con i vescovi e a non impedire che egli fosse immolato come vittima per Cristo.

Conosciamo la vita di sant’Ignazio dal capitolo che gli dedica un altro padre della Chiesa, Eusebio di Cesarea nella sua Storia Ecclesiastica. Non disponiamo di informazioni precise dall’infanzia, sappiamo non fosse cittadino romano, e pare che non fosse nato cristiano, convertendosi in età non più giovanissima. Dalla tela dipinta da Filippo Paladini nel transetto di sinistra di questa chiesa, apprendiamo subito come terminò la sua esistenza terrena: col martirio al Colosseo, sbranato dalle fauci dei leoni nell’anno 107 d.C. Il simbolo dei leoni lo troviamo in più bassorilievi sul portale della chiesa e in altorilievo sui battenti con il cuore al centro.

Mentre Ignazio era vescovo ad Antiochia, l’Imperatore Traiano dette inizio alla sua persecuzione, che privò la Chiesa degli uomini più in alto nella scala gerarchica e più chiari per fama e santità. Arrestato e condannato ad bestias, Ignazio fu condotto, in catene, con un lunghissimo e penoso viaggio da Antiochia a Roma, dove si allestivano feste in onore dell’Imperatore vittorioso nella Dacia; i martiri cristiani dovevano servire da spettacolo, nel circo, sbranati e divorati dalle belve. Durante il viaggio che lo condusse a Roma scrisse le sue sette lettere: quattro nella prima tappa di Smirne e tre a Troade, di cui una indirizzata ai romani. La lettera è un tipo di scrittura che si rivolge a un certo destinatario e, nello specifico, a comunità che vivono particolari situazioni ed esigenze. Le lettere di sant’Ignazio testimoniano la tradizione dei primi tempi e il sentire del terzo vescovo (secondo successore di San Pietro) di Antiochia, luogo dove per la prima volta i fedeli si chiamarono «cristiani». La città in Siria fu la terza metropoli del mondo antico, dopo Roma e Alessandria d’Egitto; Ignazio fu degno successore di San Pietro, un pilastro della Chiesa primitiva, così come Antiochia era uno dei pilastri del mondo antico. Uomo d’ingegno acutissimo e pastore ardente di zelo, i suoi discepoli dicevano di lui che era “di fuoco”, come dice il nome stesso, dato che ignis in latino vuol dire fuoco.

Nelle sue lettere, contro le correnti ereticali che turbavano le comunità cristiane, sant’Ignazio ribadisce con chiarezza i principali dogmi: unità e trinità di Dio, divinità di Gesù Cristo, realtà dell’incarnazione, passione e morte di Gesù Cristo, sua risurrezione, concezione verginale di Maria SS., effetti della redenzione, il battesimo, l’eucarestia, il matrimonio, la Chiesa mistica e le chiese locali, la gerarchia ecclesiastica a tre gradi (Vescovo, presbiteri e diaconi), parlando di episcopato monarchico. Nella sua letteratura c’è un certo contenuto teologico e in particolare ecclesiologico, riguardo all’unità della Chiesa. Lui per primo parlò di “Chiesa Cattolica” nella lettera gli smirnesi.

La santità personale tuttavia non si provò con le parole ma nei fatti. Avviandosi ormai verso Roma raccomanda ai romani di non intervenire in suo favore e non tentare neppure di salvarlo dal martirio.

«lo guadagnerei un tanto – scriveva – se fossi in faccia alle belve, che mi aspettano. Spero di trovarle ben disposte. Accarezzatele affinché siano la mia tomba e non faccian restare nulla del mio corpo, e i miei funerali non siano a carico di nessuno».

E a chi pensava di poterlo liberare, implorava:

«Voi non perdete nulla, ed io perdo Iddio, se riesco a salvarmi. Mai più mi capiterà una simile ventura per riunirmi a Lui. Lasciatemi dunque immolare, ora che l’altare è pronto! Uniti tutti nel coro della carità, cantate: Dio s’è degnato di mandare dall’Oriente in Occidente il Vescovo di Siria!».

Il desiderio di incontro definitivo col Padre Eterno assumeva i toni della lode. I padri filippini edificando la cupola della chiesa nel 1732 vollero incidere nel tamburo le sue ultime famose parole della lettera ai romani:

«Lasciatemi essere il nutrimento delle belve, dalle quali mi sarà dato di godere Dio. Io sono frumento di Dio. Bisogna che sia macinato dai denti delle fiere, affinché sia trovato puro pane di Cristo».

Di sant’Ignazio vescovo e martire apprezziamo l’insegnamento che ci richiama alla retta dottrina del nostro credo, la quale non rimane solo un contenuto intellettualistico, poiché se viviamo – come lui – ciò in cui crediamo, la fede prende forma nella nostra vita. Sant’Ignazio le ha reso la suprema testimonianza del martirio, noi seguendone l’esempio dovremmo restare fedeli all’unica vera Chiesa per nutrirci del «farmaco d’immortalità» che è l’eucaristia.