A.M.O.
Fascicoli di Miscellanea pubblicati gli anni scorsi hanno presentato la storia della Congregazione di Palermo afferente il periodo delle soppressioni e la successiva riapertura della casa col ritorno degli oratoriani. Inquadrare il contesto storico si rivela talvolta illuminante per la comprensione del presente.
Correva l’anno 1866 quando, il giorno 8 luglio, il neonato Stato unitario pubblicava in Gazzetta Ufficiale il Regio decreto di “Soppressione delle corporazioni religiose”, ovvero la messa al bando in Italia della vita religiosa. Il divieto assoluto di vita comunitaria negli istituti religiosi, comportò l’espulsione dei religiosi stessi dalle proprie case, conventi, monasteri. Il verbale di presa di possesso registrato nell’archivio digitale del FEC, attesta che gli agenti demaniali incaricati di dare esecuzione all’esproprio, si presentarono ai padri filippini in piazza Olivella l’8 ottobre 1866. Considerato il corso storico che precedette il momento, possiamo ritenere fosse atteso e non colse nessuno di sorpresa. I religiosi erano previamente avvisati dall’autorità pubblica che avvertiva di abbandonare gli istituti, destinati all’incameramento con tutto ciò che si sarebbe trovato all’interno.
In questo contesto di sgombero delle strutture i religiosi cercarono talora di salvare quanto potevano dei beni mobili, tra oggetti preziosi, pezzi d’arte e altri beni immateriali di proprietà intellettuale. È quanto accadde anche nella casa dei padri filippini, i quali vollero sottrarre all’esproprio alcune carte d’archivio, spostandole nei locali dell’oratorio. Il luogo dell’oratorio infatti non sarebbe stato soggetto alla confisca, essendo sede dell’Oratorio Secolare, una corporazione laica (non religiosa). Da allora fino ai nostri giorni si sono conservati, chiusi nei faldoni, antichi documenti di rendicontazione dei legati testamentari e buona parte dell’“Archivio Musicale dell’Olivella”. Gli antichi documenti contabili rappresentano oggi dei testimoni senza più effetti, mentre gli spartiti impolverati sono come un tesoro per appassionati e volenterosi esperti che vogliano riportarli in vita. La quantità di materiale raccolto sotto la sigla A.M.O. testimonia la proficua attività ospitata nell’oratorio intitolato a San Filippo Neri, adiacente la chiesa di Sant’Ignazio all’Olivella. Dal giorno della sua apertura, a Pasqua 1769, fino all’infausto giorno delle suddette soppressioni, l’oratorio dei padri filippini fu dimora di musicisti, centro di riferimento in città per il genere musicale d’oratorio, nelle fattispecie drammaturgica e da camera. Nel genere di musica sacra o canto religioso, in oratorio trovava spazio la recitazione, il canto lirico, l’artista al centro dell’attenzione innanzi al pubblico. A questi si affiancava la musica suonata per accompagnare la liturgia in chiesa, per la Messa, per i Vespri prepositurali, per le Compiete coi laici, secondo il rito antico che vedeva pure esecuzioni in forma sinfonica. I padri dell’Oratorio di San Filippo Neri a Palermo erano nobili e commissionavano composizioni musicali, allo stesso modo in cui intercettavano le migliori maestranze per la produzione di pezzi d’arte sacra.
Le soppressioni bloccarono l’ingresso di nuove vocazioni in comunità, portando nel 1916, con la morte dell’ultimo p. Luigi Grasso Riso, all’assenza dei padri filippini. Da quel momento l’intero patrimonio prodotto in un secolo e mezzo di attività cadde in disuso e, col tempo, nel dimenticatoio. Gli oratoriani che tornarono ad abitare la casa e rifondare la Congregazione nel 1931 non disponevano più delle risorse finanziarie di prima, ritrovandosi piuttosto in ristrettezza economica appena sufficiente alla propria sussistenza. Finché non venne edificato dallo Stato fascista l’alloggio sito sul retro della chiesa all’altezza dei tetti, i tre religiosi rientrati a Palermo si sistemarono in locali riadattati attigui all’oratorio… Niente poteva più essere come prima, era finita la bella epoca dello sfarzo liturgico, con apparati in pompa magna.
La riapertura oggi di quei faldoni rimasti chiusi per almeno un secolo e mezzo, porta in luce le carte a suo tempo nascoste. Si tratta di materiale manoscritto di notevole interesse per studi anzitutto musicologici, premessa alla trascrizione per esecuzione. Nei frontespizi timbrati riemergono i nomi di Salvatore Lanza e Francesco Alliata, rettori che continuavano a ufficiare la chiesa nel periodo di divieto della vita comunitaria. L’iniziale ricognizione a campione ha mostrato la non corrispondenza dei titoli indicati sul dorso delle cartelle con il materiale contenuto all’interno; segno che l’originale contenuto venne trafugato e quei raccoglitori riempiti di altra musica senza criterio d’ordine. L’ammanco si rileva quindi per il materiale che fu stimato più prezioso, dei compositori più rinomati, scritti esternamente ma assenti all’interno. Tuttavia non si possono prevedere le sorprese che emergeranno. La mole di materiale cartaceo da visionare richiede altrettanto lavoro per il riordino di parti e partiture smembrate, classificando autori e periodi. Un’opera che richiede adeguate competenze e motivazione per rendere nuovamente fruibile quel patrimonio ai musicisti, all’Oratorio, alla liturgia.