in tempo di pandemia

Il patrono dei giovani ed educatori, rappresenta senz’altro un modello di sacerdote, ma non è altrettanto invocato come taumaturgo. Eppure Antonio Gallonio nella sua biografia enumera una quarantina di miracoli compiuti in vita da San Filippo, tra guarigioni di infermi e moribondi risanati. Riepilogarli tutti non è breve, si va dai febbricitanti alle cefalee, malori al petto o all’addome; i mali del corpo che oggi si chiamano con nome proprio, allora si riconoscevano solo dai sintomi esteriori. L’esperienza di Filippo Neri a servizio degli infermi negli ospedali di Roma, inizia da giovane con l’attività della confraternita di San Girolamo della carità.

S’impiegava Filippo, oltre alle cose dette, nel visitare gl’infermi agli ospedali, i quali aiutava egli in quanto poteva con amore e carità, confortandogli al sottomettersi al volere di Dio, ed incitandogli parimente al patir volentieri per amor suo, che con tanto ardore aveva crudelissime pene patito, e per loro, e per tutti gli omini del mondo.1

I volontari che assistevano i malati non erano medici per curarli fisicamente. L’aiuto dato nella puericultura, medicazione, alimentazione, si accompagnava a parole di conforto e gesti di consolazione. Poiché non si dà beneficio corporale senza il maggior bene spirituale della salute dell’anima, particolarmente interessante risulta l’episodio affatto prodigioso di Jacopo Marmitta.

Ora crescendo il male egli era spesse volte visitato dal beato Padre, il quale cercava indurlo che si disponesse come buon cristiano, a quello che piaceva a Dio. Un giorno tra gli altri essendo esso gravato forte e tormentato d’ardentissima febbre, da dolori di corpo, e da altri accidenti del male si doleva egli senza alcuna consolazione amaramente, per la qual cosa soccorrendolo il beato Padre colla carità sua, tornò di nuovo con parole affettuose a confortarlo, come aveva fatto in prima, a portare la Croce per amor di Cristo: e dicendogli, orsù Jacopo mio, chiamate Iddio in vostro aiuto (…) Postosi Filippo a pregare Iddio per lui, condusse tostamente la tempesta di quest’anima a uno stato di tranquillità e di quiete; la quale poi col vento dello Spirito Santo in poppa felicemente navigando, dopo poche ore lieta al porto di vita eterna pervenne.2

La preghiera di p. Filippo allevia la sofferenza fisica del suo figlio spirituale, ma non lo devia dal bene che Dio voleva per lui. Il più famoso miracolo del principe Massimo ha la medesima conclusione: il giovane risuscitato, dopo qualche parola scambiata col Padre, spira felicemente. I due di fatto muoiono, il risultato non soddisfa le attese soprannaturali. L’ottica del mondo che considera la felicità data da salute e benessere materiale, non apprezza l’intervento del Santo. Solo chi aspira alla felicità celeste crede con San Paolo «che le sofferenze del tempo presente non siano paragonabili alla gloria futura che sarà rivelata in noi» (Rm 8,18), «infatti il momentaneo, leggero peso della nostra tribolazione ci procura una quantità smisurata ed eterna di gloria» (2 Cor 4,17). La consolazione che riceveremo incontrando il Signore supererà in modo sorprendente il dolore passeggero di questa vita terrena. La carità ricevuta nella degenza si sublima nella vita ultraterrena, perché «vivere è Cristo e morire un guadagno» (Fil 1,21).

Il tempo di pandemia che viviamo segna per i soggetti colpiti dalla malattia disagi in varia misura. La malattia inguaribile dimostra che non siamo padroni del vivere e del morire, mentre scopre la fragilità umana e la necessaria solidarietà, per portare la propria croce fino alla vita nuova. La nostra fede ci guidi nel cammino di carità verso la speranza, sull’esempio dei santi che ci sono già passati.

 

1 A. GALLONIO, “Vita di San Filippo Neri”, Roma 1843, Libro I, Cap. VII

2 Ibidem, Libro II, Cap. IV